Il nome scientifico della giuggiola (o zizzola) è Zizyphus: si tratta del frutto prodotto dall’omonima pianta (il giuggiolo o zizzolo o Ziziphus jujuba, appartenente alla famiglia delle Rhamnaceae e noto anche come dattero cinese, natsume o tsao), un piccolo arbusto di provenienza esotica (dovrebbe essere originario dell’Africa settentrionale e della Siria) che nel tempo si è diffuso dapprima in Asia (soprattutto Cina e India) e poi anche nell’area del Mediterraneo (Italia inclusa), dove viene coltivato a scopo ornamentale, ma anche per i suoi frutti prelibati e rari.
Che frutto è la giuggiola?
Le giuggiole sono drupe, cioè frutti con un unico seme interno (come le pesche o le albicocche), dalla forma ovoidale, delle dimensioni più o meno di un’oliva, e con una buccia sottile, liscia e di colore verde uniforme quando il frutto è acerbo, ma che tende a diventare più rugosa e a scurirsi fino a diventare porpora di pari passo con la maturazione. Di pari passo il gusto della polpa (di colore giallastro) va da quello dolce leggermente acidulo simile alla mela a un sapore decisamente più zuccherino che ricorda quello del dattero.
Varietà
In Giappone e Cina, dove il giuggiolo è più coltivato, esistono diverse varietà che differiscono per forma e dimensione del frutto, che può avvicinarsi all’aspetto di una mela o di una pera. In commercio è possibile trovare anche varietà innestate, dette “giuggiolo-mela”, con frutti di dimensioni cospicue, dalla polpa zuccherina e particolarmente soda.
Raccolta, conservazione e utilizzi in cucina
Le giuggiole maturano tra settembre e ottobre e si possono consumare fresche subito dopo la raccolta oppure dopo qualche giorno, leggermente avvizzite (in questo caso il gusto è più fermentato). Si possono anche conservare per lungo tempo essiccandole del tutto o mettendole sotto spirito. Si possono anche candire o ridurre in pasta.
Si prestano inoltre per preparare confetture e sciroppi, per farcire dolci secchi e biscotti, ma anche per produrre liquori, tra cui il famoso “Brodo di giuggiole” tipico di Arquà Petrarca in provincia di Padova. Si tratta di un infuso di giuggiole e frutti autunnali, come uva Moscato, le cotogne Cydonia oblonga, scorze di limone, uva e melagrane, la cui ricetta moderna deriva probabilmente da quella utilizzata già dai Gonzaga nel Rinascimento.
Dalla pianta del giuggiolo (detta “mellifera”) sarebbe possibile ricavare anche il miele, ma in Italia questa produzione è molto limitata perché la pianta è presente solo sporadicamente sul territorio e non ne esiste una coltivazione intensiva.
Usi alternativi
Alcune parti della pianta di giuggiolo vengono anche utilizzate in erboristeria e fitoterapia, mentre i frutti vengono utilizzati come blando lassativo. In passato, in alcune regioni d’Italia, questo arbusto era invece utilizzato per creare siepi difensive nei confini degli appezzamenti in virtù del fitto intreccio dei suoi rami dotati di spine.
Un tempo si riteneva che fosse una pianta portafortuna e oggi è ancora coltivato a scopo ornamentale.
Curiosità
Lo storico Erodoto nei suoi scritti afferma che le giuggiole dopo aver fermentato, venissero usate per produrre un vino, le cui più antiche preparazioni risalirebbero al tempo di Egizi e Fenici.
Presso gli antichi Romani il giuggiolo era considerato il simbolo del silenzio, e quindi veniva utilizzato per decorare i templi della dea Prudenza.
Secondo una leggenda, una specie affine al giuggiolo (lo Zizyphus spina-christi) sarebbe una delle due piante (Paliurus spina-christi o “marruca”) insieme alla quale fu intrecciata la corona di spine di Gesù.
Il modo di dire “andare in brodo di giuggiole” è utilizzato come sinonimo di “inebriarsi per qualcosa di piacevole” e fa appunto riferimento al sapore dolce del frutto maturo. Paradossalmente invece le foglie contengono la zizifina, un composto che sopprime nell’uomo la percezione del sapore dolce.